Il paesaggio dell’olivo costituisce il filo conduttore che lega ed intreccia nel lungo periodo le vicende della Sabina. Una presenza plurimillenaria che testimonia in modo silente il continuo snodarsi della storia ed il lento fluire del tempo. Un osservatorio privilegiato dal quale i tronchi, contorti dai secoli, narrano orgogliosi i miti, le leggende dell’antichità e, all’imbrunire, quando il sole, awolto nel suo manto rosseggiante, conduce con mano sicura il suo carro verso la notte, assumono forme quasi umane stagliandosi sull’orizzonte ceruleo.

Un rametto d’olive

L’olivo è un albero che, fin dai tempi più remoti, è intimamente legato al paesaggio agrario della Sabina. Una presenza che nel fluire dei secoli non è mai venuta meno, ma che, grazie alle cure dell’uomo, il quale è riuscito ad ingentilire le sue proprietà selvatiche, si è sempre più rafforzata fino a divenirne l’elemento che maggiormente la caratterizzava e la caratterizza tuttora.

Prova di queste antiche relazioni è il grande e maestoso olivo di Canneto di Fara in Sabina, un gigante che ha, secondo le stime più attendibili, oltre 1.500 anni di vita. Testimone silenzioso di tanta parte della storia della Sabina: dal crepuscolo della romanità, alla presenza dei carolingi; dall’affermarsi, a cavaliere dell’anno Mille, dei poteri signorili dei conti di Sabina, al prevalere, poi, del grande monastero benedettino di Farfa, cui appartenne fin sullo scorcio del secolo scorso.

Simbolo di pace e di longevità, l’olivo ha sommato in sé valenze diverse tanto religiose, quanto culturali, mentre l’olio, insieme al grano ed al vino, costituì la cosiddetta "triade" classica delle produzioni agrarie del Mediterraneo, che ne ha sintetizzato in larga misura anche la grande civiltà che scaturì nei territori bagnati dalle sue acque.

La grande esplosione nel consumo dell’olio si ebbe in età romana, in particolare a partire dal III secolo a.C., quando se ne consumavano mediamente circa 22,5 chili a persona. Gli usi ovviamente erano molto più diversificati rispetto ad oggi. Adoperato per l’illuminazione nelle lucerne, per le pratiche igieniche, per la medicina, per la veterinaria, perla cosmesi, per la preparazione di profumi e di saponi, come lubrificante in meccanica. Molti anche gli usi artigianali: per la lavorazione del cuoio, per raffinare pietre preziose, per lucidare statue, tanto di legno che d’avorio, per proteggere i metalli dalla formazione della ruggine, per rendere acuminati o taglienti gli attrezzi da lavoro.

Molta parte della storia dell’olio e dei suoi rapporti con le società antiche è oggi svanita, a causa del discostarsi sempre più degli stili di vita e dei modelli culturali moderni da quell’intimo intrecciarsi di relazioni e di rapporti, spesso anche conflittuali, tra l’uomo e l’ambiente, che ha contribuito in modo rilevante a costruire ed a modellare nei suoi tratti essenziali, sia pur in un lungo arco cronologico, il paesaggio agrario attuale, un bel paesaggio antico che merita di essere salvaguardato e valorizzato.

Le qualità terapeutiche

Fin dall’antichità classica erano ben note le qualità terapeutiche dell’olio d’oliva. Per quanto riguarda la Sabina in particolare, un grande testimone della bontà del suo olio fu il medico d’origine greca Galeno, vissuto alla corte di Marco Aurelio, che lo considerava il migliore del mondo allora conosciuto, consigliandolo come base per molti preparati terapeutici. Fama che si conservò a lungo, tanto che l’olio sabino fu segnalato come componente fondamentale per molte ricette mediche fino in VI secolo, sulla scia delle indicazioni fornite da Galeno.

Se già in antico la sperimentazione empirica aveva consentito di individuare i caratteri peculiari nel campo terapeutico di questo grasso vegetale, la ricerca medica moderna ha mostrato come una dieta ricca di olio di oliva contraeva fortemente i tassi di mortalità per cause cardiovascolari, non comportava aumenti nei livelli ematici di colesterolo, ma aumentava le Iipoproteine ad alta densità (H.D.L), riducendo i rischi d’infarto. Inoltre l’olio d’oliva rende più difficoltosa l’aggregazione delle piastrine, diminuendo il pericolo di trombosi arteriose. Altrettanto importanti gli effetti a livello digestivo, in particolare a livello gastrico, biliare e intestinale, così come influisce positivamente, grazie all’equilibrio della sua composizione, sulla crescita. Tutto ciò grazie ai suoi grassi vegetali monoinsaturi e polinsaturi, agli antiossidanti, come i polifenoli e gli alfa-tocoferoli, alle vitamine.

La sacralità dell’olio

L’olivo fin dall’antichità più remota – la sua coltivazione compare intorno al IV millennio a.C. nel Mediterraneo orientale – ha rappresentato forti valenze religiose e l’olio fu a lungo usato principalmente per cerimonie sacre, come le unzioni dei re.

Omero narra che Ulisse aveva ricavato il suo talamo nuziale su di un tronco di olivo, così come dalla stessa pianta aveva ricavato il palo con il quale aveva accecato il ciclope Polifemo. In Attica, infine, intorno all’olivo, visto nella sua triplice dimensione di albero ingentilito dall’uomo, di potenza religiosa e di simbolo politico, si sviluppò il mito della fondazione di Atene, con l’olivo sacro sull’acropoli che ne sintetizzava le complesse valenze.

Con l’affermarsi del cristianesimo si accentuò la sacralità dell’olivo e dell’olio, utilizzato ampiamente tanto nelle pratiche religiose, quanto per illuminare con la sua fiammella flebile e tremolante, gli interni delle basiliche, come una sorta di "preghiera muta".

Cessati i commerci transmarini con il declinare dell’impero romano, la coltivazione dell’olivo si diffuse anche in aree fino ad allora non toccate, come l’Umbria, la Toscana e l’area del Garda, grazie all’impulso dato dai grandi monasteri benedettini e dagli altri enti ecclesiastici, i quali dovevano non soltanto colmare il loro fabbisogno, ma anche rifornire un mercato che tornava ad espandersi dopo la crisi della tarda antichità.

Grassi vegetali, grassi animali: due culture a confronto

Con lo stanziamento dei Longobardi in Sabina, avvenuto nel VI secolo, si confrontarono due "culture", quella germanica o "continentale", caratterizzata da un uso quasi esclusivo dei grassi animali, e quella "mediterranea" connotata, al contrario, da un uso prevalente dell’olio di oliva.

Questa "frontiera" alimentare, ovviamente, non fu così netta come potrebbe apparire, ma fu spesso origine di numerose "contaminazioni", con una presenza anche dei grassi animali, soprattutto lardo, strutto e sugna, prodotti derivanti dall’allevamento brado dei maiali, nella dieta alimentare dei sabini, mentre i longobardi si adattarono rapidamente alla nuova dieta alimentare e contribuirono non poco ad incrementare gli oliveti sabini fin dai primi decenni dell’VIII secolo, quando prese avviò una nuova crescita sociale ed economica.

La conservazione dell’olio e delle olive tra passato e presente

Uno dei problemi principali legati alla conservazione dell’olio era quello di scegliere dei recipienti che consentissero di poter preservare le sue caratteristiche organolettiche così raffinate, ma anche difficili da far durare a lungo. A tale scopo si utilizzarono i doli, grandi contenitori di terracotta a bocca larga, simili alle giare o alle nostre "vettine", utilizzate fino a pochi anni fa, che venivano posti nella cella olearia, in alcuni casi murati o comunque ben fissati, per evitare rotture.

Notevolmente brigoso il trasporto dell’olio, che avveniva principalmente per mezzo delle anfore, contenitori versatili, veri e propri "vuoti a perdere" dell’antichità, che venivano utilizzate per trasportare molti prodotti ed i cui frammenti hanno creato a Roma il monte Testaccio. Gradualmente subentrarono anche altri contenitori "infrangibili", ma molto meno igienici, come gli otri – le cosiddette "pelli" – per i piccoli quantitativi, o le botti di legno, comparse a partire dal III secolo d.C. Tutto ciò rapprenda il passato con i nuovi contenitori in acciaio inossidabile che garantiscono igiene ed evitano spiacevoli rotture.

In età romana un ruolo importante a livello alimentare lo ebbero anche le olive, che erano conservate principalmente in salamoia, fino al momento dell’uso, quando erano scolate, snocciolate, tritate insieme a vari aromi e mescolate con il miele. Un altro modo di conservazione era di scegliere le drupe migliori, farle asciugare per un giorno, metterle in un sacco di tela ¬- fiscolo – nuovo schiacciarle e lasciarle sotto pressa per una notte. Il giorno dopo si sminuzzavano, si condivano con sale ed aromi e poi si conservavano, fino al momento di usarle, in un vaso colmo d’olio. Molto diffuse erano anche le conserve di olive nere, preparate dopo una salagione durata tra i 30 ed i 40 giorni.

A partire dal medioevo, quando i camini si diffusero anche nelle case più povere, l’oliva era seccata in sacchetti di tela o in canestri appesi nella cappa sopra il focolare ed esposta al fumo, che le conferiva un aroma particolare. I modi di conservazione odierni differiscono di poco da quelli antichi, anche se sono moltissime le varianti messe a punto dalle esperienze personali e tramandate di generazione in generazione.

Il futuro

Per un territorio come il nostro, caratterizzato da beni culturali ed ambientali ampiamente diffusi e sedimentati, la vera grande prospettiva per il III millennio è lo sviluppo locale. Al suo interno l’olio extravergine costituisce un tassello di grande importanza, in particolare se intrecciato ed intessuto con le altre realtà. Attualmente in Sabina esistono circa 1.100.000 piante di olivo con una produzione annua che oscilla, per motivazioni stagionali, tra le 12.000 e le 30.000 tonnellate di olive che corrispondono a circa 2.200-5.500 tonnellate di olio. Una quantità non grande che merita di inserirsi in una nicchia di mercato che consenta di preservarne le qualità plurimillennarie e di conservare, in senso dinamico, quel grande valore che è costituito dal paesaggio dell’olivo, testimone della storia che si è sedimentata durante il lento fluire del tempo sul nostro territorio.

Un patrimonio di straordinario valore per tutti noi che lo viviamo e che vogliamo trasmettere il più intatto possibile alle generazioni future.

Andar per olio e per cultura

Il legame tra l’olio e la cultura del Mediterraneo appare fin troppo evidente se si osserva con un po’ di attenzione il fluire della storia sociale ed economica della Sabina. I principali luoghi del potere, sia religioso sia civile, erano anche punti forti di coltivazione di olivi e di produzione di olio.

L’allegria della raccolta delle olive, durante la quale i canti delle donne e degli uomini rendevano meno dura la fatica, in un periodo che spesso era climaticamente avverso, hanno creato nel tempo una tradizione festosa, differente da zona a zona, che, negli ultimi tempi, è svanita in modo particolarmente veloce.

La raccolta innescava spesso migrazioni di lavoratori stagionali, che, in particolare dalle montagne dell’Appennino, scendevano verso le colline della Sabina per integrare i magri redditi e per barattare i prodotti della montagna con l’olio. Momenti di duro lavoro, ma anche di festa, che si concretizzavano, pur nella semplicità della cultura contadina, in occasioni per condividere il semplice cibo, che nell’olio trovava l’elemento centrale, per scambiarsi esperienze sui diversi stili di vita, per far germogliare improvvise storie d’amore.

Il voler ricongiungere vari segmenti di questa tradizione antica ha spinto l’assessorato per la cultura a recuperare i valori sedimentati dal tempo e cristallizzati sulla terra sabina, riannodando i fili di una memoria lacerata, che merita di essere recuperata e ricomposta.

A dicembre, durante il ponte dell’Immacolata, i mulini si aprono ai visitatori; gli spettacoli dal vivo si alternano con i mercatini; le sagre ripropongono specialità culinarie; i ristoranti menù tipici legati all’olio extravergine di oliva; gli artigiani i loro prodotti; i centri storici dei castelli medievali riprendono vita e si riaprono cantine e spazi storici. Un piccolo spaccato di un tempo che fu.

Il paesaggio dell’olivo costituisce il filo conduttore che lega ed intreccia nel lungo periodo le vicende della Sabina. Una presenza plurimillenaria che testimonia in modo silente il continuo snodarsi della storia ed il lento fluire del tempo. Un osservatorio privilegiato dal quale i tronchi, contorti dai secoli, narrano orgogliosi i miti, le leggende dell’antichità e, all’imbrunire, quando il sole, avvolto nel suo manto rosseggiante, conduce con mano sicura il suo carro verso la notte, assumono forme quasi umane stagliandosi sull’orizzonte ceruleo.

Le foglie argentate, appena agitate dalla brezza serale, mormorano, lievi, i canti e le favole che hanno udito nel tempo passato cantar dagli uccelli o narrar dagli uomini. La luna, poi, con la sua fioca luce, dipinge d’ombra gli oliveti maestosi con agili tocchi, saltellando leggera qua e là tra le chiome tremule, soltanto sfiorate.

Per l’olivo, la sabbia nella clessidra scorre meno rapida, quasi accidiosa, molto più veloce per noi, che non sappiamo più ascoltare, che non vogliamo più ascoltare le storie del mondo. È bello, invece, sedere tra le piante, sulla terra. Fermarsi a riflettere. Fermarsi a capire.

Tersilio Leggio

I testi del presente articolo sono stati tratti dal libro "L’olivo e la Sabina" su gentile concessione del suo autore Sig. Tersilio Leggio

 

 

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